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Dall’acido oleico al condimento sovrano. La voce dell’Etna

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Dall’acido oleico al condimento sovrano

Vediamo un po’… che giorno è oggi? Si, ok, allora si può fare!
Ma che farfuglia la straniera?
Calma, calma. Sapete, oggi è mercoledì e domani giovedì quindi, dando adito alla teoria secondo cui “è meglio dormirci su”, di cui mi sono costretta a divenire follower -considerata la mia spesso nefasta precipitosità- se un giorno scrivo, solo l’indomani pubblico. Volendo trattare un argomento di antichissima origine e di pregiato valore, sto provando ad essere il più delicata possibile-nonostante la delicatezza non sia una delle mie qualità più spiccate. Per questo ho deciso di rispettare la regola che stabilisce nei soli giorni terzo e quarto della settimana, la possibilità di utilizzare l’olio in un convento greco di suore ortodosse.
Dunque, largo all’inchiostro: che si espanda a macchia d’olio!
Ci sarà un motivo se Atena vinse lo scontro con Ares per l’assegnazione del suo nome alla capitale del Peloponneso; come ce n’è stato uno che ha guidato la fantasia di Ulisse nel costruire la sua alcova tra le braccia possenti di un ulivo: e, invece, qual è quello che ha indotto Mina a pubblicare un album intitolato “Olio”? e perché uno dei più grandi desideri del mio compagno è che gli venga donata una pianta di ulivo? (io mi sono limitata a regalargli un bonsai, sapete…per questione di spazi)
Non ho voglia di raccontarvi di aziende, prodezze o realtà imprenditoriali ma solo riportarvi tradizioni, anche perché dalle mie parti la spremuta di olive non è proprio un mero prodotto: è una saga che si ripete di anno in anno da cui sgorga ‘na liccardia!
Nei miei tragitti novembrini, a ridosso di un insolito inverno, in quei momenti ginnici che dedico solo a me stessa, quelli in cui le capacità più creative e distruttive che esondano dalla mia mente riescono a prendere forma, posso anche venire distratta. Da suoni, da odori. Sono i pettini elettrici che ronzano nei timpani, è il suono sordo delle drupe che cadono, è il vociare di uomini e donne -quasi sempre anziani- che si spostano da un ramo all’altro, che avanzano ancora un gradino su vecchie scale di legno -e tu pensi che stanno lì lì per cadere e allora il rumore sarebbe quello di ossa che si frantumano tutte in un sol colpo; è l’aroma di tronchi secolari che trasudano storia, celano leggende, è la fragranza di verdi foglie lanceolate, è l’essenza della Nocellara dell’Etna. Così, sotto il freddo alito tagliente di Eolo, si muovono mani rugose, arse dal freddo, bramose di sentire la polpa di velluto. Ulive, caramelle ripiene di acido oleico.
Pausa breve aneddoto: una volta -mia madre racconta- il nonno scommesse mille lire -quando ancora valevano- sulla sfrontatezza di una ragazzina, decisa a masticare una drupa appena colta: le perse! Certo potrete facilmente immaginarne l’espressione di disgusto…
Da noi si chiama “trappitu” (trascrizione forfettaria) il luogo in cui quelle perle tra il viola e il verde vengono trasformate nel condimento principe della dieta mediterranea. E si usa dividere il totale del raccolto in parti uguali tra proprietari dell’uliveto e raccoglitori, mentre il costo dell’oleificio è a carico dei primi che con questa operazione “salariano” i secondi. Una specie di baratto, insomma.
Le luci dei frantoi rimangono accese fino a notte tarda. Assistono la bambolina del firmamento nelle sue faccende stagionali: insieme sorvegliano le lavatrici, intimando che siano scrupolose; minacciano le molazze affinché ruotino, tritino e amalgamino la polpa e i noccioli; avvertono le gramolatrici di esser certosine nella separazione delle molecole, di non lasciarne neanche una d’acqua nella pasta; esigono dalle presse che strizzino ben bene, che estraggano gocce di ocra, sfridi di smeraldi. E, alla fine, in quelle vasche che stordiscono col loro ineguagliabile aroma, si vede un insolente pezzetto\furfante di pane, uno di quelli con la cro/esta ardita e la mollica/ viso butterata, tuffarsi furtivamente in quel liquido ammaliatore che lo ingoia nella sua voragine.
È così che inizia la dipendenza. Siate oculati

Marzia Scala

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