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Caleidoscopico Ottobre. La voce dell’Etna

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Oggi niente reportage!

Se la batte con le fioriture primaverili, lotta con le regine di maggio, con le sparacogne (tamari, dovreste assaggiarli!) di aprile, con il viola degli iris; duella con l’esplosione di boccioli prepotenti e il ribollire delle fermentazioni alcoliche; gareggia con le temperature in salita, la durata dei giorni, l’intensità della luce.
Certo è che si tratta proprio di un competitors smagliante, degno avversario di crepuscoli d’estate che si lasciano dietro una polvere di ricordi destinati a rassettarsi nelle soffitte della memoria.
Ma Ottobre è pieno di risorse e in ogni momento tira fuori un’arma con cui fendere colpi decisivi alla sua diretta concorrente, Sua Grazia Primavera.
Forse non ci avevo mai fatto caso come in questi ultimissimi anni -Donna vissuta… ma se ne hai solo trenta! Sempre attenta la mia coscienza, devo dire- ma ammetto che il paniere in mano a Sir Ottobre –no, meglio Don!- somiglia un po’ alla borsa di Mary Poppins: sbirciar lì dentro è come accostare l’occhio a un caleidoscopio.

Non vi annoiate, dunque, se elenco un po’ delle sue ghiottonerie, se mi diverto a tirar fuori dal suo cappello magico leprotti e funghi singolari; capitemi, è una lusinga necessaria quella che mi accingo a fare: non è affatto disinteressata ma, tantomeno, può esser tacciata di egoismo. Lo faccio per tutti coloro che hanno scommesso un anno intero su questa corsa, quella denominata “Vendemmia”. Naturalmente non sol per loro, però! C’è tutto il fun club dei produttori che espongono alle infinite fiere e sagre che si susseguono nell’ottobrina.
A proposito lancio una pietra ( e non ritirerò la mano se mi sarà dato, questo è inteso!): ma io, che pubblicamente adulo il “Don” anche per voi, non ho diritto a niente!?
Cara Marzia,
a nome di tutti ti ringrazio per il contributo che il tuo lavoro apporta alla nostra comune causa.
Tu si che sei una di noi.

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Baci e abbracci
Il presidente
Si, ma i cotillons…prevedibile.
Dicevamo dei gioielli racchiusi nello scrigno del “Don” : ci sono le vigne rigogliose di grappoli, i boschi dipinti di funghi, i castagni decorati di ricci e le strade dipinte di fichi d’india; i viottoli esalano odore di caldarroste ed essenze di vino cotto, le case si scambiano cotognata e mostarda.
Considerato che non è questa, tuttavia, la sede della Treccani ho deciso di soffermarmi ( giusto qualche riga in più: che non vi sembri prometta una cosa e ne scriva un’altra!)) di un altro figlioletto del “Don”, uno dei più preziosi, uno di quelli che fa inorgoglire mamma Etna: il pistacchio. Ma non vi racconterò della solita sagra che ogni anno si svolge nel suo paese natio, Bronte, poiché voglio dedicarmi alla materia prima, al vero artefice di questa fama internazionale.
Tanto per cominciare diffidate dai gelati verde smeraldo: è una crema colorata. Il pistacchio, quella drupa racchiusa in un guscio di legno liscio, ricoperto da un mallo verde che vira dal rosso al giallo, diviene d’un nocciola tenue e cremoso capace di sprigionare poesie di gusto sopraffine e rimate. È un frutto oleoso, gradevole compagno di chiacchierate davanti al camino, d’ intermezzi con un calice; stylist dei cibi, chef di cucina, maestro di pasticceria. Le pietanze e le ricette non ve le dico, però: date sfogo alla fantasia, spulciate su internet, sfogliate libri oppure – mi rendo conto ch’è un po’ pretenzioso- venite giù ad assaggiare: il godimento è assicurato!
E per tutti gli altri intrattenimenti ci pensa il “Don”, non disperate.
C’è stato “Wedding e Living” e ci sarà “Expobimbo”. Ma questa è la storia di un’altra factory e ve la racconto un altro giorno.

Marzia Scala

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