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Il campano Gaetano “Nino” Pascale al vertice di Slow Food: “L’agricoltura asset dell’economia del terzo millennio”

“Con i Presidi di Slow Food abbiamo dato un nuovo corso all’agricoltura e all’economia del territorio, valorizzandone i prodotti storici, ma soprattutto le persone e i luoghi”. Nino Pascale, neo Presidente di Slow Food, è convinto che l’agricoltura può rappresentare l’asset dell’economia del terzo millennio. 46 anni, nato a Telese Terme (Benevento), vive a Guardia Sanframondi (Benevento), è sposato e ha due figli, Michele e Chiara. Laureato in Scienze Agrarie presso la prestigiosa Facoltà di Portici dell’Università degli Studi Federico II, dal 1997 svolge la professione di agronomo e dal 2005 conduce anche l’azienda agricola ereditata dai genitori. Entra in Slow Food nel 1997 iscrivendosi alla condotta di Benevento, nel 2000 crea, con un gruppo di amici, la condotta Slow Food Valle Telesina, diventandone fiduciario e restando in carica fino al 2006. Dal 2003 al 2007 è membro del Consiglio Internazionale di Slow Food. Nel 2006 viene eletto presidente di Slow Food Campania e Basilicata ed entra a far parte del Consiglio Nazionale e della Segreteria Nazionale di Slow Food Italia, ruoli che ricopre tuttora. Dal 2000 al 2010 è stato docente ai Master of Food per i corsi di vino e olio. Collabora fin dalla prima edizione alla Guida agli extravergini e ha collaborato alla Guida del vino quotidiano e a Osterie d’Italia (Slow Food Editore).

 

La Campania è assieme alla Puglia tra le prime regioni italiane per numero di Presidi. Quanto i Presidi sono importanti per l’economia locale?

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Attraverso i presidi abbiamo cambiato la vita delle persone che vi lavorano, e conseguentemente l’economia dei territori. Nel 2002 uno studio dell’Università Bocconi, ancora attuale, ha dimostrato l’impatto socio-economico effettivo dei Presidi sulla sostenibilità dell’economia locale, con ripercussioni positive sul reddito familiare ancor prima che imprenditoriale: la nostra prima e più importante ambizione. I contadini vengono prima di tutto. L’idea dei Presidi, come emergeva anche da quel rapporto, è “innescare processi di autostima dei produttori, di nuovi rapporti con i consumatori e di un più forte legame della produzione con il suo territorio”. Il bilancio è molto positivo in quei presidi dove ci sono tanti produttori e imprese, come, ad esempio parlando della Campania, quello del Carciofo di Pertosa. La sfida è più difficile dove ce ne sono ancora poche, come nel caso del Pomodorino del Piennolo. Il nostro obiettivo per i prossimi anni è proprio estendere il modello dei presidi, che oggi è ancora a macchia di leopardo, su grande scala, sia a livello nazionale, sia nei territori. Il nostro impegno come Slow Food e mio personale sarà riuscire a cambiare l’ordine di grandezza dei presidi in modo da coinvolgere sempre più operatori e contribuire in maniera determinante all’economia del Paese.

 

Slow Food ha anticipato temi e prospettive che, secondo la Commissione Europea, caratterizzeranno l’economia del Terzo Millennio. Su cosa bisogna puntare perché l’agroalimentare ritorni al centro delle politiche di sviluppo?

L’agroalimentare è già al centro delle politiche di sviluppo. Piuttosto bisogna capire se al centro delle politiche di sviluppo c’è l’industria della trasformazione, che esporta in tutto il mondo, o l’agricoltura.C’è una nuova attenzione per il cibo, per l’alimentazione, per i prodotti della terra. Bisogna stare attenti che non siano solo quelli su larga scala, quelli che si trovano sui banchi dei supermercati. Capire se il sistema agroalimentare è sostenibile. La produzione di massa, infatti, non favorisce la biodiversità, le tipicità e magari non sostiene lo sviluppo locale, ma costringe a chiudere i piccoli produttori, che non possono competere. Mi spiego con un esempio. Politiche di sviluppo che mettono al centro l’agricoltura e non l’agroalimentare, nel caso dei succhi di frutta, dovrebbero puntare a garantire il 40% di polpa e non il 12% nel prodotto finale, tutelare i produttori, i contadini e i prodotti del territorio, e non l’industria di trasformazione. Politiche di sviluppo che favoriscono l’agroalimentare e non l’agricoltura vogliono l’impiego di ogm, non preoccupandosi se quelle colture sono sostenibili o no, non solo per il prodotto finale, e dunque per i consumatori, ma anche per l’agricoltura e i contadini, che sono e saranno sempre di più, come indica lo studio della Commissione Europea, la prima e più importante risorsa per il nostro Paese. Se l’agricoltura funziona ed è al centro reale delle politiche di sviluppo funziona anche il sistema agroalimentare, non viceversa.

 

Cosa si porta dell’esperienza Campana a livello nazionale? 

Mi porto tante cose buone. Innanzitutto l’affetto delle persone con cui ho lavorato e con cui raggiunto risultati importanti. Dal punto di vista operativo la Campania è stata un laboratorio di successo, dove, nel rispetto delle produzioni e dei prodotti tipici, siamo riusciti a fare innovazione. Sono maturate professionalità e nuove figure lavorative e imprenditoriali rispondenti al mutato scenario economico dell’agricoltura. E poi lavorare in contesti complessi come quello della nostra regione, oltre ad essere un forte stimolo, consente di acquisire knowhow ed esperienze significative. Valga citare per tutti il caso della Terra dei Fuochi che ha visto Slow Food in prima linea nel ripristino della legalità e nel rilancio di un’agricoltura realmente sostenibile al fianco dei piccoli e piccolissimi produttori e contadini della zona.

 

Giancarlo Panico

da GustoCampania luglio-agosto 2014

 

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